Di Giovanni Scarzella, Industry Area Director di GFT Italia
La modifica dei rapporti tra cliente e banca passa dai comportamenti e dalle esperienze delle persone. Se pensiamo all’anno appena trascorso, è normale immaginare che molte persone si siano, volenti o nolenti, avvicinate ai sistemi digitali delle banche. Ciò che abbiamo osservato, tuttavia, è stata solo l’accelerazione di un processo che in ogni caso sarebbe avvenuto con il tempo, con l’evolversi della tecnologia e delle abitudini. Per fare un esempio pratico, oggi ci accorgiamo che nell’attenzione maggiore che abbiamo alla pulizia e all’igienizzazione modifichiamo più volentieri anche il modo di veicolare il denaro e i pagamenti, utilizzando con meno piacere oggetti fisici e certamente non proprio “immacolati” come banconote e monete, che per propria natura passano di mano in mano, prediligendo strumenti di pagamento elettronico che si sono moltiplicati in breve tempo.
Al di là delle considerazioni più ovvie, vale la pena notare un aspetto molto interessante che fa riflettere, ovvero una rinnovata attenzione e sensibilità da parte dei cittadini – o almeno una parte di essi – verso le tematiche che ruotano attorno alla sostenibilità e all’etica. Esistono da sempre prodotti, anche finanziari, orientati a questa tipologia di tematiche, ma quello che sta cambiando è proprio l’abitudine delle persone a compiere gesti più “sostenibili”. Ovviamente, di questo se ne sono accorte anche le banche. In GFT, in alcuni progetti dove stiamo ri-disegnando la Customer Experience di portali Home Banking o applicazioni dedicate ai consumer, ci è capitato di inserire Tool di profilazione per identificare le problematiche di sviluppo sostenibile importanti per i clienti, in modo da utilizzare dei criteri ben precisi sugli investimenti da fare ma anche sui prodotti da offrire, come ad esempio carte di credito di legno o mutui green per chi ristruttura casa in classe energetica A. Tutto questo garantisce una quantità e tipologia di informazioni nuove nelle mani degli istituti finanziari, che possono così adeguare la loro offerta, ma anche e soprattutto dimostrarsi attenti ai temi della sostenibilità e promotori di una nuova economia più equa e rispettosa dell’ambiente. Un aspetto che possiamo anche considerare “educativo”, che una banca può avere nei confronti dei propri utenti, invitandoli a compiere azioni sostenibili più concrete.
A questo, desidero aggiungere una considerazione che deriva dall’analisi di industrie diverse dal finance, come il retail, l’energy o la manifattura, dove il tema della sostenibilità è già più sviluppato. In GFT stiamo realizzando dei progetti molto interessanti per la costruzione delle cosiddette “Smart Communities”, che permettono di generare valore sulla base delle azioni virtuose delle persone, come ad esempio utilizzare la biciletta per andare a fare la spesa o fare la raccolta differenziata in modo corretto. In questo modo sono le aziende – in primis – a rendersi conto di poter veicolare le azioni sostenibili delle persone e premiarle in qualche modo, in cambio di informazioni ma soprattutto di brand reputation. L’auspicio è che questo meccanismo possa svilupparsi anche in ambito banking, immaginando ad esempio un sistema loyalty dove i punti non sono legati a quanti prodotti uso o acquisto, ma a come mi comporto; un meccanismo, questo, che abbiamo già attivato con GFT con diversi clienti in ambito Retail. In questo approccio, il premio non è più “quanto” compro, ma “come” mi comporto: quanto sono virtuoso nei confronti della società o dell’ambiente?
Gli strumenti di profilazione: come affiancare le banche nel difficile compito di conoscere meglio il cliente rispettando la privacy?
Se consideriamo gli strumenti di profilazione e privacy, alcuni ambiti, come le banche, il governo, le strutture ospedaliere, non hanno un’ottima reputazione in termini di gestione del dato.
Con il termine reputazione ci riferiamo al livello di “attualità” di un’azienda e al suo riflesso nella società contemporanea. È chiaro che oggi, dopo tutto ciò che abbiamo vissuto, i consumatori hanno ancora più voglia di trasparenza, di impegno da parte delle aziende in tematiche etiche, di posizioni chiare su questioni sociali, culturali, ambientali e politiche. Non basta più risolvere i problemi quotidiani delle persone: ora, a partire dalle banche, serve un impegno a supporto di determinati requisiti come la trasparenza rispetto alla fornitura dei prodotti, la tracciabilità, la garanzia che le informazioni siano al sicuro; e in questo contesto la privacy tocca sempre e comunque tematiche reputazionali e di brand.
Oggi, una banca che desidera mantenere intatta la propria reputazione in ambito dati deve necessariamente avere tre caratteristiche: chiarezza, ovvero essere trasparente; comfort, ovvero garantire un facile accesso ai dati e, quindi, un’ottima user experience; controllo (sai chi ci accede e perché). Tutto questo si traduce in percezione dell’affidabilità.
Gli istituti finanziari, anche in risposta al forte impulso sia a livello italiano sia europeo, hanno realizzato progetti di adeguamento alla privacy che spesso si traducono però nel mero recepimento di regole. In questo contesto, andrebbe invece definita una strategia di comunicazione efficace in grado di unire GDPR e brand reputation. Si tratta di essere in grado di veicolare il messaggio che la banca non si limita ad adeguarsi a una specifica normativa, ma ha a cuore la privacy dei suoi clienti e la trasparenza del dato, come impegno etico e non come semplice monetizzazione dell’informazione.
Ricollegandoci per un attimo all’esempio del progetto di loyalty sostenibile,
desidero sottolineare come tutto ciò che avviene a livello di tracciatura dati sia trasparente e completamente in mano ai cittadini che si ritrovano, quindi, a poter gestire le proprie informazioni personali all’interno di un portafoglio dati e dare il proprio consenso a condividere questi dati con terze parti, sfruttando l’opportunità di essere premiati e consentendo ai commercianti di attivare rapidamente programmi di fidelizzazione o servizi a valore aggiunto.
Ad esempio, un cittadino che utilizza un’app di mobile wallet può identificarsi e fornire il consenso a condividere i propri dati personali con un commerciante (scansionando un QR-code all’interno di un’app su uno SmartPOS), in modo da essere rapidamente attivato all’interno di un programma fedeltà o condividere dati aggiuntivi (ad esempio, sui comportamenti di acquisto) per ricevere servizi personalizzati a valore aggiunto.
Questi strumenti rappresentano un’opportunità per contribuire a una crescita e uno sviluppo virtuosi ed etici e, soprattutto, per posizionare il proprio brand come leader sostenibile e vero e proprio broker sociale. I clienti saranno i primi a seguire questo genere di iniziative. È il momento di agire, perché è questo che le persone chiedono oggi: un impegno delle aziende. E chi sarà più efficace otterrà enormi vantaggi.